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Archivi d'impresa

Taranto 1980 - 1992: L'illusorio boom

Mentre gran parte del Paese imbocca la strada di una parziale ripresa e vive la fase di espansione delle piccole imprese dei distretti, a Taranto il decennio 1980-1990 è segnato dai processi di ristrutturazione che investono le fabbriche fordiste e dall’accentuarsi della crisi della siderurgia, in particolare di quella europea, che tra il 1975 e il 1986 vede ridursi del 47% gli addetti. Il contrarsi del consumo dell’acciaio è infatti legato al manifestarsi di una generale terziarizzazione delle economie avanzate, alle nuove difficoltà dell’edilizia, all’introduzione, soprattutto nella meccanica, di nuovi standard produttivi che prevedono l’alleggerimento di alcuni prodotti industriali e l’uso crescente di materiali che sostituiscono l’acciaio. A questi fenomeni si affianca l’ingresso sul mercato di nuovi Paesi produttori come Brasile e Corea, che sono in grado di offrire acciaio a prezzi competitivi grazie al basso costo del lavoro e a nuove disponibilità energetiche. Agli inizi degli anni Ottanta, la Comunità europea interviene per cercare di guidare il necessario ridimensionamento della produzione: ogni Paese si vede assegnate trimestralmente, a seconda della domanda globale, quote minime di produzione con prezzi stabiliti; gli aiuti statali, tranne che per la ricerca o per interventi di natura ambientale, sono fortemente limitati ma, in compenso, vengono consentiti sistemi di protezione nei confronti delle importazioni da Paesi non comunitari e vengono finanziati piani di reindustrializzazione e di riqualificazione della manodopera. La crisi comunque preme sulle aziende Iri che, in gravi difficoltà finanziarie, vengono conferite alla Nuova Italsider e ricapitalizzate.

 

La modernità tecnica della struttura tarantina – a cui si sono accompagnati anche nuovi investimenti per migliorare ulteriormente il ciclo produttivo e la qualità dei prodotti, per abbattere i costi, per ridurre rese e giacenze –, consente tuttavia di rallentare gli effetti della crisi. Di cruciale importanza è la realizzazione della V colata continua, che permette allo stabilimento di produrre il 100% dell’acciaio con questa tecnica capace di comprimere notevolmente i costi. Nel 1981, con la consulenza della Nippon Steel Corporation, si avvia il TaRaP–Mro (Taranto Rationalization Plan – Miglioramento risultati operativi), con l’obiettivo di rimediare alle diseconomia di scala prodotte con il raddoppio e la successiva crisi siderurgica e alla bassa produttività degli impianti e di individuare gli errori gestionali. L’intervento della Nippon Corporation, che porta a risiedere a Taranto 78 manager e tecnici giapponesi, raggiunge l’obiettivo di ottenere miglioramenti in tutte le quatto aree oggetto di intervento: nel 1985 si delinea la possibilità di chiudere il bilancio in pareggio e condurre lo stabilimento fuori dal tunnel della crisi più acuta, soprattutto in quanto, a partire dal 1987, il mercato dell’acciaio entra nuovamente in un ciclo espansivo.
L’intera siderurgia pubblica tuttavia necessita ancora di ulteriori interventi finanziari e organizzativi che inducono l’Iri nel 1988 ad approvare un piano di ristrutturazione che prevede nuovi aiuti per circa 5.000 miliardi e l’avvio del processo di liquidazione volontaria della Finsider, dell’Italsider, della nuova Deltasider e della Terni acciai speciali. Esso si concluderà nel 1989 con la costituzione dell’Ilva spa, da molti interpretata come l’anticamera della privatizzazione.