Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

1945 - 1970: Gli anni gloriosi

"Fiat 500", 1957 (Archivio e centro storico Fiat, Archivio iconografico).

 
 

Nella corrente dello sviluppo occidentale
Il ventennio che segue il 1950 vede un processo di modernizzazione socio-economica del Paese che segna la definitiva affermazione dell’industria e del contesto urbano come forma prevalente di insediamento. Si ripete, ma con maggior intensità ed estensione territoriale, quanto era avvenuto all’inizio del secolo, e dopo gli anni dell’autarchia e della guerra riprende la rincorsa nei confronti delle nazioni a “sviluppo antico”. A parità di potere d’acquisto, il Pil procapite italiano è a quota 100 nel 1950 contro 186 nell’Europa occidentale, ma dieci anni dopo, a un 100 italiano corrisponde un 165 europeo, e nel 1970 la distanza sarà ancor più ridotta, 100 a fronte di 148. La grande voglia di riscatto degli italiani dopo il Fascismo e la guerra, l’adesione politica ed economica all’Occidente, l’avvio della ricostruzione e il sostegno del “piano Marshall” inseriscono il Paese in una grande corrente di sviluppo internazionale.

 

I protagonisti del "miracolo economico"
Si affermano, per l’azione di grandi imprenditori, le produzioni di massa. Grazie al “piano Sinigaglia”, che prevede un nuovo stabilimento siderurgico a ciclo integrale a Cornigliano (Genova), la specializzazione delle altre acciaierie e la chiusura degli impianti obsoleti, la siderurgia italiana passa dal 9° al 6° posto nel mondo. Similmente, la Fiat di Valletta, fra i primi anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo, decuplica la produzione passando da 100.000 a un milione di veicoli prodotti, mentre l’Eni di Enrico Mattei mette il metano, di cui è ricca la valle Padana, a disposizione dell’industria e lo utilizza per produrre concimi azotati a basso prezzo, con grande beneficio per gli agricoltori italiani. Sono gli anni in cui l’Alfa Romeo di Giuseppe Luraghi passa dall’artigianato all’industria con modelli che ancor oggi tutti ricordano, quali la Giulietta e la Giulia. A cavallo del 1960, la Olivetti di Adriano Olivetti è un’impresa multinazionale con 50.000 dipendenti, in grado di assorbire uno dei maggiori competitor americani, la Underwood, e di affacciarsi con serie prospettive nell’elettronica. Mentre si irrobustisce l’apparato industriale italiano anche per ciò che concerne la piccola e media impresa, nascono nuovi settori come quello degli elettrodomestici, dove si affermano “uomini nuovi”, come Giovanni Borghi e Lino Zanussi.

Le ombre dello sviluppo
I limiti di questo straordinario periodo sono dati dalla debolezza dell’elemento politico istituzionale e dal mancato governo del cambiamento. Lo Stato imprenditore allarga sempre più la sua sfera d’azione, che però non è orientata da criteri economici, bensì dalla ricerca del consenso elettorale. Allo stesso tempo lo Stato non offre un quadro di regole e istituti necessari a un’economia che voglia essere di prima fila: all’economia italiana mancano leggi antitrust, a protezione degli investitori in borsa, di promozione di investitori istituzionali e un’adeguata legge bancaria. Intanto le città del Nord vedono in pochi anni la popolazione crescere del 40-50%. È una migrazione dal Sud del Paese che non viene accolta con adeguate strutture di welfare (case, scuole, ospedali). Egualmente drammatica è la situazione all’interno delle fabbriche, dove il sindacato, almeno quello maggioritario della Cgil, viene umiliato e ristretto in confini che ne minano ogni capacità di incidere e di mediare sul conflitto sociale. In definitiva, gli anni del “miracolo economico”, pur restando il periodo più dinamico della storia economica d’Italia, lasciano in eredità alla fase successiva molti nodi da sciogliere.