Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

1861 - 1896: Prima dell'industria

Gruppo di operaie della Pirelli, 1883 (Fondazione Pirelli).

 
 

Un Paese agricolo
Nella visione dei contemporanei, il modello economico al quale deve attenersi la Nazione è quello di un’Italia agricola ed esportatrice dei prodotti del suolo. Un modello con radici profonde, che si era delineato alla fine del XVII secolo quando, per riprendere l’affermazione di un grande storico economico, Carlo Cipolla, «l’Italia aveva iniziato la sua carriera di Paese sottosviluppato d’Europa». All’indomani dell’unificazione, non sorprende udire in Parlamento dichiarazioni di questo tenore: «il clima, l’aria, il sole, le campagne d’Italia non ci permetteranno mai di diventare eminentemente industriali come gli inglesi e i francesi». L’evoluzione del sistema economico internazionale sconvolge però questo equilibrio. Il profondo cambiamento nei trasporti – con l’avvento della ferrovia e della navigazione a vapore – provoca l’inondazione dei mercati europei con grani americani e russi, olio e frutta di aree semitropicali, seterie indiane e giapponesi. Per le esportazioni italiane è il tracollo; le importazioni del maggior cespite dell’agricoltura nazionale, il grano, passano dal 1,5 milioni di quintali del 1880 a 10 milioni del 1887, con una contrazione del prezzo del 30%. Il valore della produzione agricola e zootecnica scende da 28 miliardi a 26 miliardi (in lire 1938) fra 1880 e 1887.

 

Gli industriali e il protezionismo
È questa prima “globalizzazione” che rende anche la proprietà terriera sensibile al protezionismo. Con sempre maggiore insistenza chiedono in quegli anni una protezione doganale i gruppi di imprenditori industriali, dopo la prima, moderata tariffa ottenuta nel 1878 soprattutto a difesa del settore tessile. Il grande laniere di Schio, Alessandro Rossi, è fra i più impegnati e convincenti su questo terreno. Negli anni seguenti alla prima tariffa protezionistica vengono emessi diversi provvedimenti a favore dell’industria, come quello del 1879, che favorisce le imprese meccaniche italiane nelle forniture ferroviarie in forte espansione, e le successive leggi emanate dal 1885 per il settore navale, che privilegiano armatori acquirenti di navi costruite nei cantieri italiani, a loro volta indotti a rifornirsi di semilavorati siderurgici presso stabilimenti nazionali. La politica doganale varata con la tariffa generale del 1887 mira infine a proteggere gli interessi agrari (dazio sulle importazioni di frumento) e le produzioni industriali, in particolare i settori cotoniero e siderurgico.

La "prima mano di vernice industriale"
È in questo clima che, sotto l’egida del Ministro della Marina, Benedetto Brin, viene fondata, nel marzo del 1884, la Società degli altiforni, acciaierie e fonderie di Terni, per produrre l’acciaio necessario alla corazzatura delle navi da guerra. Lo Stato, pur molto interessato all’impresa, che sostiene con commesse, sovvenzioni, protezioni doganali, non è in grado di gestirla autonomamente per mancanza di risorse tecnico-manageriali; la affida quindi a un imprenditore privato, Vincenzo Stefano Breda, già a capo di una grande impresa attiva nell’ambito delle costruzioni su commessa pubblica, la Società veneta. Quando, tre anni più tardi, la Terni, per una serie di errori imprenditoriali è sull’orlo del fallimento, il Governo interviene a salvarla, ordinando agli istituti di emissione di creare nuova carta moneta. La procedura seguita è quella di un vero e proprio salvataggio: l’esordio della Terni rappresenta un episodio di grande importanza nella storia dell’industria italiana, in quanto dimostra che un’impresa ritenuta strategica dalla classe dirigente nazionale manca di una libertà fondamentale in un ambiente capitalistico, quella di fallire. Alla fine del periodo la Terni è certamente una delle maggiori imprese italiane, con l’Ansaldo di Genova e qualche grande stabilimento tessile lombardo. Alla fine dell’Ottocento si può parlare per l’Italia di una “prima mano di vernice industriale”: si tratta di un tessuto fragile, in equilibrio instabile, che le ricorrenti crisi rischiano di compromettere. L’industria italiana è formata da “isole” in un mare contadino.